Il paracadutista.

 


Piccole storie del Vecchio Borgo antico

 

Vittorio il paracadutista.

Alla leva militare il ragazzo chiese di essere destinato all’arma dei paracadutisti, era il suo sogno.

Aveva diciannove anni e da tempo attendeva quel momento, avrebbe acquistato considerazione tra gli amici del campetto di calcio.

La Fara, il suo campetto di fronte a casa, luogo d’interminabili partite durante la bella stagione.

Il padre lavorava in uno stabilimento siderurgico a pochi chilometri dalla città e d il fratello minore, terminate le scuole medie, faceva piccoli lavoretti nell’ortaglia che degradando lambiva le mura della Rocca: l’ortaglia dei Maggi.

Il desiderio di arruolarsi come paracadutista era visto con preoccupazione in famiglia. Sia il padre sia la madre avevano cercato di convincerlo a cambiare idea, inutilmente.

Il Marchesi, questo era il suo cognome, ne parlava spesso con i suoi compagni del suo sogno e, mentre gli altri sarcasticamente mettevano in discussione l’effettiva volontà di scegliere il paracadutismo come specialità militare, lui, il Marchesi, si vedeva già al portellone dell’aereo pronto a lanciarsi nel vuoto.

Quando, dopo la visita militare, tornò a casa era raggiante e non aspettava che il momento di poter indossare la divisa e il baschetto da paracadutista per lasciare a bocca aperta gli scettici che avevano messo in dubbio il suo proposito.

Mostrare le mostrine con la folgore e le ali per zittire gli increduli, potersi vantare, con le ragazze, del suo coraggio e della sua determinazione.

Aveva raggiunto il suo obiettivo.

Faceva il “filo”, la Iside, una ragazza del Vecchio Borgo e anche a lei aveva espresso il suo desiderio.

Ora sarebbe arrivato il momento di dimostrarle che non era un vanto per accrescere la considerazione nei suoi confronti.

Mancava ormai poco tempo alla sua partenza. La destinazione era Livorno, la caserma della Folgore, dove avrebbe iniziato l’addestramento.

Durante una breve licenza si tolse la soddisfazione di rientrare a casa in divisa tacitando in tal modo le perplessità a suo tempo espresse dagli amici del campetto.

A tutti quelli che incontrava, indicava con orgoglio le mostrine: l’immagine della folgore con le ali.

Il sogno durò poco.

Durante un lancio qualcosa non funzionò come doveva.

L’atterraggio fu piuttosto brusco e una gamba, piegata male, si fratturò poco sopra il ginocchio.

Il Marchesi fu immediatamente ricoverato per le cure del caso.

Ricomposta la frattura, e ingessato l’arto, rimase ricoverato per la degenza che gli permettesse un rientro a casa per una breve licenza.

Un paio di settimane successive all’incidente, sorretto dalle stampelle, Vittorio raccontava agli amici, con spavalderia, l’esperienza vissuta.

Ma un’incognita imprevedibile era alle porte.

L’arto infortunato gli procurava dolore, in alcuni momenti abbastanza intenso.

Rientrato a Livorno fu ancora una volta ricoverato in ospedale sotto osservazione.

Quando i medici si decisero a togliere l’ingessatura per verificare la causa dei dolori si resero conto che nell’arto era subentrata una cancrena con la conseguente setticemia.

Ogni intervento fu inutile.

Pochi giorni dopo Vittorio chiuse per sempre gli occhi e raggiunse il cielo per l’ultimo lancio.

 

 


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