La Zina
Il suo nome era Lorenza ma anche da adulta le era
rimasto il “diminutivo”, come quando era ragazzina.
Viveva con la famiglia all’ultimo piano di un palazzo
signorile del Vecchio Borgo antico.
Il padre univa l’attività di portinaio con quella di
calzolaio.
Il suo piccolo laboratorio, posto in alto nell’atrio
d’ingresso, aveva la vetrata a semicerchio in modo da poter controllare il
passaggio delle persone, abitanti o visitatori.
La madre, ex infermiera, svolgeva la mansione, a
pagamento s’intende, di fare iniezioni, con provata abilità, a domicilio su chiamata.
Arrivava con il necessario: una scatoletta di metallo,
contenente siringa e ago, che riempiva d'acqua e la faceva bollire sul fornello
per sterilizzarla. Un piccolo batuffolo di cotone e una bottiglietta di alcool.
In famiglia, oltre padre, madre e Zina, abitava anche il
fratello, autista di una famiglia facoltosa della città.
Raccontava sua madre che spesso accompagnava i “signori”
ai tavoli verdi di Lugano o Montecarlo.
Qualche volta, nell’attesa che arrivasse l’ora del
rientro, tentava qualche puntata alla roulette ma con scarsissimo successo. Si
mormorava che fosse nelle “grazie” della signora che, eventualmente ripianava i
suoi piccoli debiti di gioco.
Zina era una bella ragazza, abbastanza alta da
distinguersi dai genitori piccoli e tracagnotti, capelli corvini e due occhi
che sprizzavano voglia di vivere. Amava divertirsi e, soprattutto, ballare.
Quest’ultima passione era malvista dai residenti della
contrada aizzati dal prete nelle prediche delle messe domenicali che, pur senza
citarne il nome, metteva alla gogna il ballo, e le sale che lo ospitavano, come
luoghi di perdizione.
La madre di Zina, assidua frequentatrice delle Messe
domenicali ascoltava con occhi bassi questi sermoni e capiva benissimo a chi
erano indirizzati. Erano la sua croce.
In casa, talvolta, cercava di intavolare un discorso con
la figlia sull’argomento ricevendo come risposta una risata e un’alzata di spalle.
Spesso la risposta era, rivolgendosi al prete e ai suoi
sermoni: « Non potendo farlo lui, vorrebbe che non lo facessero anche gli
altri. Solo invidia! »
Il periodo più bello della sua giovinezza, purtroppo
coincise con gli anni della guerra.
Cinque lunghi anni in netto contrasto con la voglia di
vivere e di divertirsi di Zina.
Le sale ballo in città erano chiuse, i giovanotti che le
avrebbero frequentate al fronte e il ripiego di alcune feste in case private,
mestamente orfane di uomini, erano inutili convegni femminili di chi vorrebbe,
ma non può.
Nell’ultimo anno di guerra Zina cominciò ad avvertire
stanchezza e febbricola.
Il medico condotto, dopo averla auscultata, diagnosticò:
« Una forma iniziale di “mal sottile” – in buona sostanza in termini attuali,
tubercolosi – la signorina necessità d’aria di montagna, e meglio ancora
ospitata in un Sanatorio! ».
La notizia fu accolta come un macigno dalla madre,
mentre in Zina, pur seguendo la cura di farmaci prescritta, a quel tempo non
era ancora in circolazione la “streptomicina”, il primo antibiotico e primo
agente batterico efficace, non diminuiva nei suoi pensieri la libertà di vivere
la sua vita, “libera”.
Dalle notizie che circolavano comprendeva che la guerra
stava terminando e, con la sua fine, si sarebbe tornati ai divertimenti.
I locali da ballo chiusi per mancanza si materiale
umano, con il ritorno della gioventù dal fronte, sarebbero stati riaperti.
Avrebbero avuto fine le melanconiche serate del ballo
surrogato con le amiche e la vita avrebbe ripreso il suo corso.
Finalmente in primavera arrivò la tanto sospirata
liberazione.
Nel Vecchio Borgo antico, in quei giorni di entusiasmo
un Partito di sinistra aprì. autonomamente e senza alcun permesso. un locale da
ballo tra lo scandalo dei “benpensanti”.
Il prete dal pulpito tuonò: « Ecco, ora abbiamo anche il
luogo della perdizione. Chi lo frequenta non osi metter piede in questa Chiesa!
»
A Zina questa imposizione non fece né caldo, né freddo:
semplicemente lo ignorò.
Era inebriata dalla libertà, dalle nuove e vecchie
amicizie ritrovate, dalla musica americana suonata da una piccola orchestrina; era
la musica di Glenn Miller.
Purtroppo il “mal
sottile” non aveva preferenze e
continuava il suo percorso.
La sala da ballo non rimase aperta a lungo.
L’Amministrazione Comunale, proprietaria dell’immobile e gestita dal Partito Cattolico, non avrebbe
mai autorizzato un simile insediamento sull’Alto Colle, a pochi passi dal
Vescovado e dal Seminario.
Con rammarico i frequentatori del locale dopo poco più
di un anno assistettero alla sua chiusura. Si spensero le luci e tacque l’orchestrina
che suonava le musiche di Glenn Miller.
Alcuni mesi dopo le luci si spensero anche per Zina
mentre il suo pensiero era rivolto alle note di “In The Mood” !
Piccola storia di una ragazza del Vecchio Borgo antico
che amava la vita e il ballo.
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